JEFF ROWLAND DESIGN GROUP MODEL ONE
Non starò a raccontarvi delle sue caratteristiche, tanto sono presenti nel bel sito di JR, ma vi parlerò della mia esperienza con questo apparecchio che ho avuto spesso nei miei impianti, spesso perchè, a volte l'ho venduto, inseguendo la chimera di migliorare il suono, e puntualmente me lo ricompravo, fino ad averne due insieme, configurati in mono, per pilotare diffusori ostili e difficili, come le Magneplanar MGIII/a.
Questo finale, costava quasi 8 milioni delle vecchie lire appena uscito negli anni 90, oggi si può anche trovare con un po di fortuna a 1300 euro e se stà in buone condizioni, di sicuro non farà mai rimpiangere i soldi spesi.
Suono caldo, quasi valvolare, con bassi frenati ed una gamma media impressionante, versatile in quanto è anche bilanciato e utilizzabile in mono a ponte.
Sono un po scomodi i connettori per i diffusori, ma una volta serrati non danno problemi.
A mio modestissimo avviso è uno dei migliori finali mai costruiti e lo metterei nella schiera dei migliori finali di sempre dove sono presenti il Krell KSA 80, il Nakamichi Pa7II, il Mark Levinson 27,5 ed altri amplificatori dell'epoca d'oro dell'hifi.
E' costruito come un blindato, alimentazione centrale affidata ad un toroidale enorme scatolato e silenziato all'interno di un involucro in metallo e affogato nella resina, due condensatori grossi come due lattine di coca-cola rendono questo finale abile a pilotare tutto.
E' bello, non è grande (38 cm. di larghezza, 40 di profondità e poco più di 10 in altezza) pesa una ventina di kg., 22,5 per l'esattezza (a prova del fatto che dentro c'è la "ciccia") e soprattutto, suona.
I miei li ho "abarthizzati" con i pannelli superiori in plexiglass, normalmente c'è una cover in metallo molto spessa e pesante, ma era troppo bello ed ordinato l'interno che era un peccato non renderlo visibile.
Il finale scalda abbastanza, niente di pericoloso, non è in classe A, ma rimane sempre tiepido anche quando è a riposo.
Una scelta tipica di Jeff Rowland, tesa a lasciare sempre in tensione l'apparecchio, in una specie di "ibernazione", usando un termine informatico, così da avere subito prestazioni di rilievo anche all'accensione.
Una caratteristica usata molto in quegli anni, anche da altri costruttori come Classè Audio (vedi recensione del Classè Six)
Io ho sempre usato una ciabatta filtrata e dotata di interruttore per cui spegnevo tutto, anche se è presente un interruttore di alimentazione sul pannello posteriore, un po scomodo per me che ho sempre l'impianto all'interno di una libreria, che stacca la tensione in modo assoluto.
Per un lungo periodo ne ho usato solo uno, ma la vera rivelazione è stata quando ho avuto la possibilità di prenderne un altro, fortunatamente dello stesso periodo produttivo, avevano circa 70 numeri di differenza sul serial number, per poterli usare nella configurazione "mono bridged".
Che dire?!
Dr. Jackhill e Mr. Hide!
Un finale da 60+60 watt, pur dotato di alta corrente in uscita (55/60 ampere) comunque, anche con diffusori non particolarmente ostili, faceva la sua bella figura, ma di certo non faceva le crepe nell'intonaco di casa :-).
Messo a ponte, il Model One, quadruplica la sua potenza, l'alimentazione ovviamente raddoppia e così la corrente in uscita che se ne ottiene.
Un centrale elettrica in grado di pilotare con autorevolezza, senza mai perdere il controllo, qualunque diffusore e quando dico qualunque, lo dico con cognizione di causa per averlo usato anche con le Magneplanar MGIII/a, uno dei planari più ostili per il loro carico di impedenza prossimo a "0" ohm.
60+60 watt RMS continui su 8 ohm, 120+120 su 4 e 215 su 2 ohm che possono arrivare ad oltre 240 su 8 ohm se configurato a ponte, immaginate cosa potevano scatenare con quel carico quasi nullo delle Maggie!!
Credo che siamo nell'ordine dei 4/500 watt!
Non ho più ascoltato nulla del genere, anche oggi che ho un impianto di costo molto più elevato, quella dinamica, quel contrasto, quella precisione e quella delicatezza, uniti ad un calore unico, non sono riproducibili.
C'è altro, c'è qualcosa di diverso, anche qualcosa di più, ma di sicuro anche qualcosa di meno, quel qualcosa che è difficile da scrivere, da mettere in italiano nero su bianco, qualcosa che si prova solo se si ha la sensibilità giusta e soprattutto se si ha la fortuna di possedere uno di questi gioielli.
Per me, lo ripeto, il n. 1 dei finali a stato solido della sua categoria, ed anche di più.